Pieter Brueghel, IL VECCHIO è pittore-incisore, oltre che uno dei maestri indiscussi dell’arte fiamminga del ‘500.
Le sue opere, ci mostrano un’armoniosa composizione stilistica, nelle quali si susseguono le sue diverse creazioni a carattere vagamente moralistico e didascalico.
Di formazione Umanistica, rappresenta temi attuali e contemporanei.
Nei dipinti non propone scorci di una vita reale, ma un vero mondo a sé stante.
I temi sono incentrati su case, campagne, montagne e fiumi. Ciò che principalmente colpisce, sono le sue riproduzioni minuziosamente quantitative di oggetti e persone.
Pieter Brueghel, il vecchio
Pieter Brueghel (il Vecchio) nacque a Brabante (Paesi Bassi – 1525) e durante la sua carriera mostrò al mondo l’interessamento per diverse fasi artistiche.
Tra le prime, che lo immortalano come maggior esponente, c’è l’arte fiamminga.
Questa passione, gli viene passata Hieronymus Bosch, dal quale trae la sua massima aspirazione.
Seguirono una serie di paesaggi, (reali o fantastici), che molto probabilmente furono il frutto anche dei suoi viaggi.
Pieter Brueghel, inizia a lavorare sin da giovanissimo. Entra a far parte dei pittori di Aversa nel 1551, alle dipendenze dell’architetto e grande disegnatore di arazzi, Pieter Coecke Van Aelst (che oltretutto è mercante di stampe e pittore), ma soprattutto, grande erudito.
Brueghel lavora incessantemente. Le sue passioni e le orme dei maestri, lo spingono a dedicarsi assiduamente alla pittura. Queste lo portano poi a viaggiare tra Francia e Italia, soggiornando a Roma e in Sicilia.
Durante la sua carriera, Pieter Bruegel è spesso additato come un personaggio dalle origini contadine, un ignorante. Al contrario, fu un uomo di grande cultura. Era in contatto con alcuni degli individui più eruditi del tempo.
La torre di Babele – 1563 – è uno dei dipinti che fa più riferimento ai suoi soggiorni.
In questo dipinto evidenzia le paure che tormentano la vita degli uomini. Nella sua opera moralistica si accentuano i vizi e la mostruosità dei demoni. Dalla follia degli operai impegnati nella costruzione della torre. Ogni attività perde significato nel contesto se paragonata alla vanità dell’obiettivo generale.
Esiste una Biografia piuttosto lodativa di Karel Van Mander del 1604. Sostenitore accanito dell’artista, narra le sue lodi, rilevandone alcuni aspetti singolari; come il fatto, ad esempio, che era solito travestirsi spesso per studiare e osservare i festeggiamenti della vita rurale da vicino.
Le “Parabole”
A dimostrazione di questa sua grande cultura, troviamo ad esempio la serie dei quadri delle “Parabole”;
Una delle prime da prendere in esame è “la parabola del cieco che guida il cieco – 1568” in cui Brueghel, fa un chiaro riferimento alle guerre di religione, (nello specifico, il conflitto, all’epoca, tra Cattolicesimo e Protestantesimo). La critica, va nei confronti di una disputa che sta lacerando la sua patria, mettendo in risalto che “entrambi i ciechi” si stanno allontanando dalla chiesa.
Pieter Brueghel, nei suoi quadri è solito fare delle “allegorie morali”, in cui le azioni della gente di campagna, simboleggiano una varietà di peccati e di follie.
A tal proposito va citato anche la caduta di Icaro.
Questa caratteristica, permette a Brueghel di mostrare la vita quotidiana dei braccianti.
La stessa, che servì a molti artisti nord europei. Attraverso i secoli, questa peculiarità, permette di attingere continuamente, come fonte di ispirazione dalla vita campestre.
Non a caso, Già nel XVIII secolo, nella pittura c’è una forte prevalenza dell’ideale pastorale come una sorta di potere rigeneratore.
Sulla stessa scia, eleganti signore, scelgono di posare nel proprio ritratto con abiti contadini, come delle pastorelle o delle lattaie.
Uno degli scopi principali di Brueghel, era quello di “fotografare” con minuziosità di dettagli, il paesaggio stesso.
Sulla soglia del XIX secolo, gli artisti si ritrovano maggiormente interessati alla natura. Approfondiscono l’immagine di povertà, volgendo la loro attenzione alla campagna; perché il vero e unico obiettivo – dato realistico – doveva essere quello di ritrarre la schietta realtà.
Osservatori della cruda realtà
In Francia, nei secoli, sono ricordati artisti di rilievo come Gustave Courbet di cui tutti conoscono gli “Gli spaccapietre” olio su tela del 1849.
Courbet è colui il quale meglio concretizza l’idea nel pittore, di una vita contadina così dura, cruda amara da spingerlo a dipingere senza mostrare i volti; affinché s’intuisca come una vita di stenti distrugga l’identità dell’uomo stesso;
Oppure possiamo osservare un altro grande pittore, quale Jean-François Meillet e le sue “spigolatrici” – 1857, che vuole restituire dignità alla fatica del lavoro quotidiano.
Entrambi, di un realismo accentuato, colpiranno il gusto, con il loro intenso modo di rappresentare la povertà del lavoro.
Era sovente, per Brueghel, rappresentare anche le stagioni, poiché strettamente collegate alla vita dei campi. Infatti “il vecchio”, nel 1565 dipinse la famosa “Fienagione” caratteristico pannello del rinascimento nord europeo appartenente alla serie dei mesi.
Brueghel il vecchio è sovente accusato di dipingere “buffonerie”, da qui Pieter il “buffo”.
Questo perchè nel ritrarre la vita di campagna, in molti suoi dipinti, tra danze e attività popolari, non mancano i dettagli umoristici. Come ad esempio, gente impegnata a far rissa o a ubriacarsi (o a urinare). Tipico di questa pittura, definita spesso ridicola e buffa.
L’ereditarietà artistica
Brueghel il giovane, omonimo – figlio, nasce nel 1564, dal matrimonio con la figlia del suo grande maestro, Mayeken Coecke. Il suo primogenito, diventa un artista affermato come suo padre. Segue le sue orme, e si ricorda lo splendido ”Matrimonio di paese- 1600 ca.” che evidenzia la vicinanza paterna.
Nel 1568, nasce il suo secondogenito, Jan (noto come Jan Velvet– Jean dei velluti) abile pittore di tessuti.
A differenza di quanto alcuni sostengono, Brueghel il Vecchio, non fu mai maestro dei suoi figli. Ebbe una vita relativamente breve, e i figli erano troppo piccoli quand’egli morì.
Fu sepolto a Bruxelles, a Notre-Dame de la Chapelle nel 1569.