Mini-fegati stampati in 3D perfettamente funzionali realizzati in Brasile. Dall’Università di San Paolo, nel Brasile, arrivano importantissimi passi avanti in ambito della medicina e dalla stampa 3D. Nello specifico la novità arriva dal Centro di ricerca sul genoma umano. Qui i ricercatori sono riusciti a realizzare dei mini-fegati stampati in 3D e risultano essere perfettamente funzionali. Dunque hanno la capacità di riprodurre proteine vitali.
Mini-fegati stampati in 3D garantiscono importanti vantaggi
Quindi, i ricercatori hanno dovuto coltivare e riprogrammare le cellule staminali umane, quindi stamparle in 3D per formare i tessuti. Però, una delle autrici dell’articolo pubblicato sulla rivista Biofabrication, avrebbe affermato quanto segue:
“Fino a quando non avremo ottenuto un organo completo non sono ancora stati raggiunti più stadi, ma siamo sulla buona strada per risultati altamente promettenti. Nel prossimo futuro, invece di attendere un trapianto di organi, potrebbe essere possibile prelevare cellule dal paziente e riprogrammarle per creare un nuovo fegato in laboratorio. Un altro importante vantaggio è la probabilità zero di rigetto, dato che le cellule provengono dal paziente. “.
Quindi, si presuppone che alcuni “dettagli” sono ancora da mettere a punto. C’è da dire che i fegati stampati in 3 D potrebbero anche diventare più sicuri. Invece di stampare le cellule una per una, il team ha sviluppato una nuova tecnica che prevede il raggruppamento di cellule in gruppi. Facendo sì che i mini organi stampati durino molto più a lungo rispetto ai precedenti tentativi di organi stampati, secondo i ricercatori. Questi gruppi cellulari vengono quindi miscelati con un bioink simile a idrogel e stampati in un reticolo tridimensionale.
“In questa fase, non sono ancora tessuti perché sono dispersi, ma come dimostrato dal nostro studio, hanno già la capacità di eliminare il sangue dalle tossine e di produrre e secernere albumina [una proteina prodotta solo dal fegato] , per esempio.”
Questo è quanto detto dall’autore dell’articolo Ernesto Goulart ad Agência FAPESP.
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