Brahmagupta è il matematico che introdusse lo zero nei calcoli e sviluppò l’algebra
Vissuto dal 598 d.C. al 668 d.C., Brahmagupta è il matematico che introdusse lo zero nei calcoli, ne studiò gli effetti ed, inoltre, risolse formule algebriche.
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Ai nostri tempi, in qualsiasi comune giornata, per tutti, è abbastanza scontato trovare lo zero nei vari numeri che ci circondano; per esempio lo possiamo trovare: nei prezzi dei prodotti, nei numeri di telefono od anche all’interno di semplici formule matematiche. L’uso dello zero viene insegnato molto presto ai bambini, all’interno di tutte le operazioni matematiche, comprese le divisioni; sembrerà strano ma la considerazione dello zero come un numero utile a produrre un risultato è abbastanza recente.
Brahmasphuta Siddhānta: le basi della matematica moderna
Il Brahmasphuta Siddhānta rappresenta la fonte più antica che si conosca, fatta eccezione per il sistema di numerazione maya; infatti, considera lo zero come un numero utile ai calcoli, al pari degli altri. Inoltre si cimenta con le regole dello zero nei calcoli aritmetici, che ha tramandato alle epoche recenti: la scoperta dei numeri negativi, la divisione dello zero o per zero.
Proprio il tentativo di definire la regola nelle divisioni per zero rappresenta l’ultimo atto, effettuato da Brahmagupta, lasciato incompleto alla matematica moderna; infatti per Brahmagupta 0/0=0 e 1/0=infinito, anche il concetto di infinito si sviluppò 1400 anni fa grazie allo zero.
Brahmagupta ed il 600 d.C.
Il matematico ed astronomo indiano, fu il primo a trattare lo zero come un numero a tutti gli effetti; infatti gli uomini erano abituati, anche per l’uso delle dita, a partire direttamente da 1. Dita o pietre, segni sulla sabbia o sulla roccia, i numeri hanno sempre espresso un concetto estremamente pratico; quindi perché considerare lo zero? Era sconosciuto ai greci ed anche alle altre civiltà classiche. Infatti, prendendo come esempio i numeri romani, che hanno rappresentato le basi della nostra cultura matematica, è facile ricondurre la simbologia all’uso delle dita:
- I = singolo dito teso;
- II e III = due e tre dita tese;
- V = la “V” del palmo aperto, dunque 5 dita tese;
- quindi il simbolo IV da considerare come 1 dito prima di arrivare a 5, cioè 4.
Potremmo continuare anche con gli altri simboli della matematica romana ma non troveremmo traccia dello zero.
L’abaco indiano ed il simbolo di vuoto
I primi abachi indiani furono tavole ricoperte di polvere o sabbia usate per segnare i simboli; infatti, la parola abaco per gli indiani dell’epoca significava “polvere”. La concezione è sempre stata di “zero = nulla”, oppure “vuoto”; quindi perché introdurre lo zero nella matematica? Per secoli fu sufficiente pensare solo a qualcosa che non c’è. Proprio un contenitore vuoto ispirò la forma “0“, introdotto da Brahmagupta nella matematica. Nella pratica lo sviluppo del “numero zero“, concepito come origine, consentì anche l’introduzione dei numeri negativi.
Infine Brahmagupta tentò di regolamentare la “divisione per zero” affermando, per esempio, che “0/0=0”, teoria ripresa e rivista dalla matematica moderna. Brahmagupta fu il primo a dare una soluzione generale all’equazione diofantea lineare.
Fibonacci e lo zero in Italia
Il nuovo sistema di numerazione fu introdotto in Italia “solo” nel 1200 da Leonardo Pisano, detto Fibonacci (filius Bonacci cioè figlio di Bonacci); infatti, il matematico pisano pubblicò il “Liber abbaci” con l’introduzione delle nuove “cifre indiane” comprensive del numero zero; quindi, elaborò una tabella comparativa tra i numeri scritti in romano e quelli in indiano. Dunque, Fibonacci soprannominò la nuova cifra “zefirus” (la lingua latina ha riadattato quella araba “sifr”, che a sua volta la riprese dalla sanscrita “śūnya” che significa “vuoto”); “zefirus”, poi, diventò “zevero” ed infine “zero“.
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