Un nuovo studio evidenzia come intere comunità di batteri Intestinali sono associate a tratti di personalità.
Una nuova ricerca fornisce la prova che tutti e quattro i tratti (energia mentale e fatica,.energia fisica e fatica) possono avere profili di batteri intestinali unici ma sovrapposti; ad esempio, i batteri più spesso connessi alla percezione in termini di energia svolgono funzioni metaboliche; mentre i batteri più spesso connessi alla sensazione di fatica sono associati all’infiammazione.
Il 45% circa della popolazione statunitense soffre di affaticamento eccessivo e persistente; questo rappresenta un problema comune, costoso e poco compreso. In Italia, una stima degli anni precedenti afferma che ne soffre il 43% della popolazione.
È stato dimostrato che la stanchezza costa ai datori di lavoro oltre 136 miliardi di dollari all’anno in perdita di produttività. Tuttavia, queste stime non tengono conto degli incidenti di guida e di altro tipo legati alla fatica, oppure delle scarse prestazioni mediche. Per non parlare del declino del rendimento scolastico e degli esiti negativi sulla salute. Purtroppo, bisogna dirlo, la fatica è sottovalutata nelle cure mediche e indiscutibilmente collegata a molte malattie e disturbi.
Nonostante gli alti costi finanziari e sociali della fatica, è un problema poco compreso. Tutto ciò, anche considerando che ci sono oltre 250 strumenti diversi e nessun consenso su come misurare al meglio la fatica.
Batteri Intestinali: una delle sfide per i ricercatori è quella di comprendere la relazione teorica tra la fatica e l’energia
“I nostri risultati rafforzano molti dei concetti di salute pubblica relativi alla nutrizione e alla salute”, ha detto il Dr. Matthew Lee Smith, un ricercatore del Dipartimento di salute ambientale e professionale e del Centro per la salute della popolazione e l’invecchiamento alla Texas A&M University. “Il microbioma intestinale può influenzare il modo di essere, non solo il modo in cui si sta oggi”, ha aggiunto. “I risultati sono più suggestivi che definitivi, ma hanno contribuito alla nostra comprensione di ciò che la salute dell’intestino può fare e come fa sentire le persone”.
Nello studio, il dottor Smith e colleghi hanno esaminato la correlazione tra energia mentale (ME), fatica mentale (MF), energia fisica (PE), fatica fisica (PF) e il microbioma intestinale.
“Hanno partecipato 20 individui di 31 anni, fisicamente attivi e non obesi”, precisano.
Bacteroidetes (45%), il phyla batterico più importante, era solo negativamente correlato con PF. Il secondo phyla più predominante, Firmicutes (43%), aveva membri che correlavano con ogni tratto. Tuttavia, il batterio Anaerostipes era correlato positivamente con ME e negativamente con MF e PF, rispettivamente. La dieta influenza la composizione del microbiota intestinale, e solo un gruppo alimentare, la carne lavorata, era correlato con i quattro stati d’animo: positivamente con MF e PF e negativamente con ME e PE. Solo il genere Firmicutes Holdemania, era correlato alle carni lavorate.
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“Ciò che si mangia determina i batteri e il microbioma nel nostro intestino”; ha confermato il dottor Ali Boolani, ricercatore presso il Dipartimento di Terapia Fisica e il Dipartimento di Biologia della Clarkson University.
“Con questo studio, abbiamo fatto un collegamento esplorativo tra il microbioma di una persona e il suo umore. Sappiamo che l’energia e la fatica possono essere influenzate da tante cose come ciò che si mangia, l’attività fisica, il sonno, le condizioni croniche o i farmaci che si prendono per queste condizioni”; ha aggiunto e poi concluso il dottor Smith.
“Capire come la nutrizione e la malnutrizione sono collegate alla fatica e all’energia è importante perché le cadute, la fatica cronica e la bassa energia possono diminuire la salute e la qualità della vita degli adulti più anziani che vivono con condizioni difficili. Penso che parte del divertimento qui, sia osservare alcune di queste relazioni ed essere in grado di vedere meglio questa interazione e come ciò che si mangia può influenzare anche questi aspetti”.
Lo studio appare sulla rivista Nutrients.
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